Signor Ministro,
onorevoli colleghe e colleghi,
c’è un’urgenza, un’apprensione che in questo momento, si impone su tutto e che credo possa unire davvero tutto il Parlamento. È un appello, che dobbiamo rivolgere tutti, ai terroristi di Hamas, il rilascio immediato e senza condizioni degli ostaggi, bambini e anziani, consentendo l’accesso dei soccorsi a tutti i civili che ne hanno urgente bisogno.
Di fronte a noi, si è aperta una voragine di sangue e orrore, morti, feriti, dispersi. Piangiamo le troppe vittime innocenti di una strage che si è consumata all’alba di Shabbat. La solidarietà a Israele e al suo popolo, che ha diritto a difendersi, in linea con il diritto internazionale, è netta, chiara, limpida. L’attacco atroce, indiscriminato e senza precedenti di Hamas, condotto con una brutalità che non eravamo abituati a vedere e che non riusciamo a guardare, va condannato con la massima fermezza, come ha fatto larga parte della comunità internazionale e come ha fatto il nostro Paese con le parole solenni del Presidente della Repubblica, nelle cui parole tutti ci riconosciamo, e nel cui solco si collocano quelle della Presidente del Consiglio, dei vertici delle istituzioni e di tutte le forze politiche.
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I crimini commessi da Hamas in Israele sono azioni terroristiche di massa, pulizia etnica, genocidi: non ci sono ragioni politiche, sociali, economiche che possano attenuarli, nulla si può invocare di fronte al “male assoluto”.
Dobbiamo avere coscienza che di fronte a noi si apre anche il rischio di una catastrofe umanitaria e di un’escalation di violenza, terrore e guerra che potrebbe portare al coinvolgimento di altri attori. È per fronteggiare e scongiurare questa prospettiva che la politica, anche oggi in quest’aula, non dovrebbe divedersi, dovrebbe piuttosto dare un segnale forte di unità. È la ragione per la quale abbiamo offerto alla maggioranza la disponibilità di una mozione comune. Nella speranza sincera che fosse colta. È ancora possibile.
Chiediamo di stare nel solco degli statement dell’Unione europea e prevedere: la condanna ferma e inequivocabile dell’attacco terroristico di Hamas; la solidarietà a Israele e a tutte le vittime civili; l’impegno a ogni sforzo diplomatico, coi nostri alleati, con i paesi del mondo arabo che possano svolgere una funzione, per evitare l’esplosione del Medio Oriente.
Il Medio Oriente ha una storia intricata, un groviglio di ragioni e torti, di cui la questione israelo-palestinese ha spesso costituito causa ed effetto, scaturigine e precipitato.
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È questa consapevolezza che non ha mai impedito al nostro Paese di svolgere una funzione politica in quello scacchiere, di cui, per quanto il mondo sia cambiato, e siamo cambiati anche noi, io credo che anche oggi dobbiamo provare a essere all’altezza.
Ma il fermo immagine sulla giornata di sabato è necessario, perché è innegabile un drammatico salto di qualità, a cui la cruda contabilità dei morti ci richiama.
Quell’attacco ha rivelato, qualora si nutrissero ancora dubbi, la vera natura di Hamas, la sua volontà di distruggere Israele colpendo deliberatamente obiettivi civili. Il diritto a esistere di Israele per noi è scolpito sulle tavole più sacre della civiltà occidentale risorta dalle ceneri del nazifascismo.
Che vi sia un disegno, spalleggiato in primo luogo dal feroce regime iraniano che, non dimentichiamolo, ogni giorno si macchia dell’assassinio dei suoi figli, per impedire la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita, e anzi spingere a una generalizzata rivolta antiisraeliana nell’area, che già trova le sue intollerabili manifestazioni antisemite, e i suoi primi morti fuori da quei confini, è fatto notorio e palese. Che vi fosse l’interesse di Hamas a dare il colpo definitivo all’Autorità Nazionale Palestinese, per presentarsi come unica forza in grado di rappresentare la nazione, e riguadagnare terreno su altre forze estremiste emergenti, è altrettanto chiaro.
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Per tutte queste ragioni, sappiamo quanto sia è necessario che Hamas venga neutralizzata nella sua capacità di minacciare la sicurezza e la vita di Israele. Ma sappiamo anche che non possiamo fermarci qui. E che dobbiamo lavorare per impedire che il loro disegno si compia. Servirà forza e unione. Ma servirà anche molta intelligenza politica. Il terrorismo, ce lo insegna la storia, si può battere solo così.
Voglio dirlo con molta chiarezza. La reazione di Israele era prevedibile e rappresenta un’altra prova del totale disinteresse di Hamas per la vita e il destino dei palestinesi. Il loro obiettivo non è rivendicare pace e giustizia, ma governare la guerra.
E proprio per questa ragione l’unica divisione che dovremmo far emergere, adesso, con chiarezza, è quella che da sempre attraversa la storia martoriata della Terrasanta e della regione: la divisione tra chi vuole una pace giusta, duratura e sostenibile, e chi ogni volta che questa prospettiva sembra avvicinarsi, o fare qualche passo avanti, o timidissimamente riaffacciarsi a un possibile orizzonte, come stavolta, ci fa trascina nuovamente nel terrore.
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In quest’aula, dovremmo tutti concordare su un punto. La scelta scellerata di Hamas ha colpito anche un’altra vittima: le legittime aspirazioni di pace del popolo palestinese. Che pagherà un prezzo ulteriore di sofferenza, miseria e lutto, dopo anni in cui è stato lasciato troppo solo, senza alcuna prospettiva reale di pace e giustizia.
E dobbiamo dirlo con forza e con ragione, se vogliamo impedire di fare il più grande favore possibile ai terroristi: far passare l’equazione “Hamas uguale Palestinesi”. Sarebbe una menzogna. E, di fronte alla storia, all’ieri e al domani, sarebbe “peggio di un crimine, un errore politico”.
Ecco perché quello che andato ieri in scena tra i Commissari europei non è stato un bello spettacolo. E non solo perché le decisioni non si prendono e non si smentiscono su Twitter, ma perché sospendere gli aiuti alla popolazione palestinese, che già soffre una terribile crisi umanitaria, sarebbe un regalo insperato ad Hamas. Che l’Unione europea, con lungimiranza, ha già dichiarato “organizzazione terroristica” e dunque già oggi non può e non deve essere destinataria di aiuti. Ma sollevare il tema adesso, oltre che rivelare uno scopo smaccatamente strumentale, equivarrebbe non solo a smentire una posizione di equilibro dell’Europa stessa, ma a indebolire ulteriormente l’Autorità nazionale palestinese, già fortemente delegittimata. È nostro interesse? No, non lo è.
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E lo è ancor meno se vogliamo preservare un ruolo per la ricerca di una soluzione politica.
La soluzione politica, qualcuno dirà. Ora, in mezzo alla guerra?
Noi non siamo irrealisti. Sappiamo che Israele ha dichiarato guerra al terrore. E diciamo con chiarezza che Israele ha diritto a difendersi. Ma come dice l’Unione europea, come hanno detto le Nazioni Unite, diciamo anche noi che ha diritto a difendersi ma sempre rispettando il diritto internazionale e umanitario.
Di fronte alla storia dobbiamo affermare alcuni punti fermi. Un assedio a Gaza come quello annunciato ieri con interruzione di luce, acqua e soccorso umanitario, in una striscia dove vivono 2 milioni di persone in quella che è diventata una prigione a cielo aperto nella colpevole indifferenza della comunità internazionale, e che non saprebbero dove andare, insieme ai 900 mila bambini che lì vivono, è proibito, come hanno ricordato le Nazioni Unite, dal diritto internazionale umanitario. Rappresenterebbe, come ha ricordato un’amica di Israele come Emma Bonino, un crimine di guerra che Israele, avendolo subito con l’attacco di Hamas, deve avere la forza morale di non commettere.
Occorre aprire un corridoio umanitario a Gaza. Garantire una via di fuga dalla Striscia e di accesso ai soccorsi.
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Voglio citare le parole di Giorgia Meloni che, a seguito della riunione del Quintetto, ha indicato la necessità di operare per evitare un ampliamento della crisi a livello regionale e per tutelare la popolazione civile coinvolta. Abbiamo apprezzato le parole del Ministro Tajani sull’impegno del governo a evitare l’escalation.
Sarebbe un errore sprecare la possibilità di dare oggi un messaggio di massima unità. Dovremmo provare tutti, in quest’ora così buia, a superare noi stessi, i nostri riflessi condizionati, i posizionamenti. Mai come in questo momento abbiamo bisogno di una politica più alta. Del coraggio e dell’intelligenza della politica.
Dobbiamo mettercela noi. E deve mettercela l’Europa, che deve darsi una vera politica estera comune, perché corre un rischio esistenziale. Se guardiamo la carta geografica ci si accorgiamo che tutte le aree di crisi incidono sui nostri confini: dalla guerra che ci è entrata in casa, in Ucraina, e che rischia di cronicizzarsi alla riesplosione del conflitto in Nagorno-Karabak, fino all’emergere di nuove tensioni nei Balcani, per non parlare degli effetti dei golpe nel Sahel e del collasso della Tunisi.
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Serve la politica per ritessere i fili del negoziato e di uno sforzo diplomatico che impedisca l’esplosione del Medioriente come ulteriore tassello del caos globale che si abbatte su di noi.
E per quanto irrealistica, e per certi versi persino paradossale possa apparire in questo frangente, nel mezzo della guerra e dell’orrore, la prospettiva dei “Due Popoli, Due Stati” in realtà è l’unica soluzione che possa garantire una pace sostenibile e durevole. Questo è il vero realismo. Dobbiamo continuare a portarla avanti tutti insieme.
Anche l’Italia, in linea con la sua grande tradizione diplomatica, può svolgere un ruolo e una funzione. Spingere la comunità internazionale a riprendere il Processo di Pace in Medio Oriente, anche a tutela della sicurezza di Israele. per cui oggi siamo tutti in apprensione.
C’è stato un colpevole abbandono del percorso. Gaza è diventata quella prigione a cielo aperto, in una crisi senza sbocco, abbandonata da tutti dopo la vittoria di Hamas nel 2006 e via via dimenticata.
Noi, che ci siamo subito e con chiarezza schierati a difesa di Israele e del suo diritto a esistere, non possiamo non richiamare errori e le responsabilità dell’attuale governo israeliano.
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Abbiamo deprecato l’indebolimento della vivace democrazia israeliana, lo abbiamo fatto insieme alle forze democratiche israeliane, con cui siamo in costante rapporto, a partire dal nostro nobile partito fratello, il Labour. Le scelte dell’estrema destra hanno aperto anche un disallineamento tra governo e apparati di sicurezza e lo stesso esercito israeliano.
Haaretz ha scritto che Netanyau è direttamente responsabile di quello che è a tutti gli effetti un collasso di un sistema di sicurezza che vantava un primato mondiale: la sua politica aggressiva di occupazione e sostegno agli insediamenti illegali non solo ha esasperato i palestinesi, ma ha distratto il governo dalla capacità di cogliere e fronteggiare le vere minacce.
Nessun giustificazionismo dunque verso Hamas, che agisce per la sua folle ideologia spalleggiato dall’Iran. E tuttavia il fallimento politico dell’estrema destra israeliana è evidente. Netanyau ha pensato di poter liquidare la questione palestinese. Semplicemente rimuovendola. Ma su questo, dobbiamo dircelo con grande onestà. C’è una responsabilità della comunità internazionale.
Tutti hanno ricordato il 50° anniversario dello Yom Kippur, quasi nessuno che sono i 30 anni degli accordi di Oslo con quella straordinaria stretta di mano tra Arafat e Rabin.
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La soluzione politica di “due popoli due stati” non può diventare un richiamo burocratico in risoluzioni che non legge più nessuno. Dev’essere un imperativo politico e morale.
Chi ha avuto la necessità, nella propria stessa vita, di attingere a tutta la forza morale e all’intelligenza umana per andare avanti, lo scrittore David Grossman, ha scritto: “Israeliani e palestinesi non hanno bisogno di erigere un muro che li separi: hanno bisogno di abbattere il muro che li divide”.
Ora occorre unirsi contro il terrore, ma anche farlo su una prospettiva di pace.
Ora occorre reagire all’attacco, e vorrei ricordare quelle parole di Rabin, che rappresentano al meglio il coraggio e la forza della politica: “combattere il terrore come se la pace non esistesse e fare la pace come se non ci fosse il terrore”.
Non rappresentano soltanto una lezione politica e morale che non va dimenticata. Ma anche le coordinate per navigare in questo tempo così terribile, senza affondare. Per non soccombere, con la nostra civiltà.
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GRUPPO PARLAMENTARE DEL PD ALLA CAMERA DEI DEPUTATI

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