Appena fuori Brunico vedo due ragazzi (quelli della foto) che fanno autostop. Mi fermo, convinto che siano due musicisti, e invece mi raccontano una storia inusitata, una di quelle che non si immagina esistano ancora nell’Europa del XXI° secolo.
Primo: non sono musicisti. Sono muratori, carpentieri in legno per l’esattezza. Sono tedeschi, della zona di Francoforte. Viaggiano così per una tradizione che risale al medioevo, tradizione che, mi dicono, è ancora seguita in Germania, Austria, Svizzera, e con qualche regola diversa, in Francia.
In essenza, le cose stanno così. I carpentieri in legno (costruttori di case di legno) hanno la possibilità (solo se vogliono, non c’è nessun obbligo) di fare 3 anni della loro vita seguendo la tradizione medievale: viaggiare da 6 a 8 settimane consecutive, senza mai dormire due volte nello stesso posto, poi fermarsi e costruire una casa o comunque costruire qualcosa in legno, poi ripartire. Possono muoversi solo a piedi o in autostop. Devono essere vestiti così come nella foto, e tutto il bagaglio è quello che portano nella foto.

All’inizio fanno 6-8 settimane di prova, accompagnati da uno esperto del viaggiare (in questo caso il ragazzo a destra nella foto era un esperto, già da 2 anni e mezzo in viaggio, quello a sinistra era “in prova”). Se dopo la prova il carpentiere decide di seguire la tradizione del viaggio triennale, c’è una cerimonia, in presenza degli altri muratori del suo paese: il carpentiere viaggiante dà la sua parola di partire e eseguire tutto secondo le regole, senza mai tornare a casa prima di tre anni (mia domanda da italianuzzo: e se torna prima? Risposta: non può, ha dato la sua parola. Ripeto la domanda altre due volte e sempre ottengo la stessa risposta, mi guardano come se non capissi quello che dicono: l’eterna barriera culturale tra noi Latini e i Germani, non a caso da Tacito in poi li sentiamo così diversi e incorrotti). Il primo anno o periodo simile (non ricordo con esattezza) debbono restare nei paesi di lingua tedesca, poi possono andare dove vogliono nel mondo (l’esperto, per esempio, s’è fatto tre mesi di Libia: in Libia a costruire case di legno? Chiedo. No, solo il tetto in legno: pensa tu, Muammar con la tenda col tetto ventilato….). E com’è? Ovvio, è dura e è un gran divertimento, e comunque quando torni hai un sacco di esperienza in più, sia professionale che umana. C’entra la religione? Assolutamente no. E’ libera la scelta? Assolutamente sì, ma non se ne può recedere… Forse anche i mastri comacini seguivano una tradizione simile…poi da noi si è persa…

Federico Fiocchi

Marialuisa Giordano
Ho cercato la storia ho scoperto che si chiamano Zimmermeister e che la tradizione risale al 1152! Affascinante

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1 commento su “Vita da carpentieri”
  1. In realtà, nel rito (perché di questo si tratta) itinerante dei carpentieri, si celebra un mito. Lo stesso mito che Goethe ha mirabilmente tradotto nei versi “eretici” dell’incompiuto “Prometeo”; inno nel quale il titano (come in Eschilo) rivolge a Zeus, padre e padrone degli dei e del mondo, blasfeme profezie ricordando al Nume che
    “…nulla puoi tu
    contro la mia terra,
    contro questa capanna,
    che non costruisti,
    contro il mio focolare,
    per la cui fiamma tu
    mi porti invidia.”
    Proprio la capanna diventa qui, insieme al fuoco, simbolo e ancestrale presenza delle radici dell’umanità e del suo browniano agitarsi spinto da quella “cieca speranza” in una nuova età dell’oro che il Prometeo eschileo attribuisce alle nuove creature. Mito fondante, la capanna diventa tale insieme alla nascita dell’uomo che trasforma un recinto in abitazione “inventando” un tetto a coprire il cielo, dimora degli dei, e a difendere la specie da quell’”assolutismo della natura” che in Hans Blumenberg rappresenta l’abbraccio mortifero dal quale le creature prometeiche dovranno per sempre liberarsi scoprendo in tal modo la vita e la morte. In altri termini, il destino umano, in Goethe non è solo legato al fuoco ma anche al “carpentiere itinerante” la cui ars aedificandi allontana la sorte disperata dell’uomo dall’estinzione prematura. “Ecco, venite, facciamoci un nome”: se nel testo biblico che descrive l’hybris dei babelici si sostituisce il termine “nome” con “tetto” si afferrano completamente senso e significato dei “carpentieri itineranti”, privi di bagaglio e strumenti ad immagine dei primi mitici costruttori di tetti. Dunque di civiltà.

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