Il diritto alla casa è oggi sempre più inaccessibile ai più. Da oltre trent’anni, riforme sull’austerity e riduzione della spesa in conto di capitale dello Stato hanno limitato enormemente la capacità degli enti locali di promuovere, rinnovare ed estendere il patrimonio di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP) ereditato dal Piano INA-Casa, nonché forme di Edilizia Residenziale Sociale (ERS), ovvero social housing e co-housing, promosse sia dalle agenzie regionali e comunali per la casa, sia da tessuto cooperativo e no-profit. Si può affermare che, alla sensibile diminuzione di pianificazione territoriale da parte dello Stato, sia corrisposto, in modo direttamente proporzionale, un disinvestimento nel programmare, pianificare, progettare e gestire la casa pubblica.

A questo quadro, tutto italiano, va affiancato quello mondiale ed europeo che ha visto, da un lato, l’aumento esponenziale e generalizzato del valore dei beni immobili, da San Francisco a Londra, da Parigi a Tokyo, con un picco di +30,9% nei Paesi UE solo negli ultimi 10 anni secondo EUROSTAT (2021), attraverso la loro ‘finanziarizzazione’ e mercificazione, specialmente nel mercato dei capitali legato alle maggiori città mondiali. La finanziarizzazione dei beni immobili, e delle pratiche connesse di sviluppo urbano, è stata abilitata dalle banche centrali che consentono, tramite cartolarizzazioni, nonché cessioni e acquisizioni di titoli, azioni e obbligazioni, di commerciare frazioni o interi beni immobili e lotti fondiari, de-territorializzandone e globalizzandone la proprietà ma, al contempo, aumentandone il valore nei mercati immobiliari locali.

Sicché, il trattamento dei beni immobili come veri e proprie asset class di investimento raggruppati in portafogli da parte di fondi specializzati, ha consentito, da un lato, l’ascesa di grandi gruppi di investimento e sviluppo immobiliare, anche in Italia, e dall’altro, l’aumento dei valori fondiari, con un parallelo indietreggiamento, come si accennava poc’anzi, dello Stato, ma anche da parte di banche locali e nazionali nel promuovere operazioni immobiliari a canone concordato.

In particolare, i mercati immobiliari delle maggiori città italiane hanno subito un significativo aumento di investimenti esteri nell’ultimo decennio, diversificato tra varie asset class (alberghi, residenze, uffici, commercio e retail), i quali hanno in parte generato, specialmente in alcuni capoluoghi di regione e località turistiche prestigiose, quel vertiginoso aumento di oltre +40% dei prezzi al metro quadro degli immobili, a fronte, tuttavia, di una mancata revisione dei valori fondiari catastali o di un giusto riequilibrio nel prelievo di rendita attuato dagli oneri di urbanizzazione, oggi tendenzialmente sotto il 10% del valore dell’immobile.

In altre parole, alla domanda di casa, che soprattutto nei maggiori centri urbani del Paese non è mai rallentata, la politica ha scelto di non dare una risposta, liberalizzando totalmente il mercato dei beni immobili, i quali da ‘bene-rifugio’ per tutti gli italiani, stanno oggi diventando un ‘bene-esclusivo’. In questo senso, i dati OECD (2020), ci mostrano come l’alloggio in affitto copra solo una percentuale residuale, il 28,3% dei nuclei familiari italiani, evidenziando due aspetti. Da un lato, oggigiorno affittare diventa l’unica alternativa per famiglie a basso reddito incapaci di accedere ad un mutuo erogato dal sistema bancario che, diversamente da altri Paesi UE, richiede garanzie di elevata stabilità economica (ad esempio, un contratto di lavoro a tempo indeterminato), a fronte di tassi d’interesse sempre maggiori. Dall’altro lato, questi dati sottendono la considerazione che l’affitto sia diventato un business sempre più profittevole in alcuni grandi centri urbani nei quali la domanda di casa è ben più alta dell’offerta, in particolare per la presenza di grandi funzioni urbane sovraregionali (università, ministeri, ambasciate, grandi aziende) e del turismo di massa.

Promessa Democratica ( Gianni Cuperlo)

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